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venerdì 9 settembre 2011

I dolci della cucina contadina

Oggi i dolci sono una presenza quotidiana della nostra dieta, per la prima colazione, meranda, o come snack nel corso della giornata. Ma non è sempre stato così: solo cinquant'anni fa l'unico dolce presente nelle case era la frutta che, essiccata o trasformata in conserva, rappresentava il solo modo per garantire durante i mesi invernali il fabbisogno di vitamine. Un tempo, quando non esistevano i frigoriferi e le moderne tecniche di conservazione dei cibi, nei mesi freddi, l'alimentazione era monotona e ripetitiva, e i frutti più comuni e presenti erano le mele, conservabili a lungo, e i cachi a inizio inverno. Si poneva perciò il problema di conservare la frutta estiva, e in genere quella più deperibile. Da questa esigenza derivò l'uso di essiccare la frutta al momento della sua perfetta maturazione. Ancora oggi la frutta essiccata viene consumata da sportivi come concentrato di zucchero e vitamine facili da portare con sè.
Alcuni frutti essiccati, come per esempio i fichi, farciti con mandorle, al cioccolato, cotti al forno, al profumo di vaniglia con limone, si sono trasformati in dolci specialità. Un esempio affine viene dalla Val Venosta, dove vengono coltivati i peri della varietà Pala, strettamente imparentata con la Sommerapothekerbirne tedesca, la "pera estiva del farmacista", così chiamata perchè ritenuta molto efficace dalla medicina popolare, soprattutto per i problemi di digestione.
Il frutto è dolcissimo, primaticcio, deperisce facilmente e quindi non è commerciabile. Le donne del luogo, in autunno, si occupano della raccolta e della lavorazione di queste pere, che vengono affettate ed essiccate nei forni ancora caldi dopo la cottura del pane. Così nascono le "persecche", ingrediente fondamentale di moltissime ricette dolci della cucina contadina altoatesina.
Coloro che disponevano di zucchero, un bene prezioso e raro in campagna fino a un secolo fa, preparavano con la frutta marmellate e confetture che si sarebbero conservate per tutto l'anno, fino al nuovo raccolto. L'origine del nome "marmellata" risale al termine portoghese marmelo mela cotogna. Nel ricettario De re coquinaria, attribuito ad Apicio (I sec. d.C.), ma risalente al III-IV sec. d.C., è riportato che già i Greci usavano cuocere le mele cotogne con il miele per poterle conservare. Dall'esigenza di conservare la frutta più fragile e deperibile la fantasia popolare, nei secoli, ha generato un mondo infinito di ricette cui si è aggiunta,in anni recenti, la ricerca dei pasticceri e delle industrie conserviere che, potendo disporre di frutti di ogni parte del mondo, li hanno proposti in abbinamento con i prodotti nostrani e con spezie ed erbe aromatiche. Composte di frutta, marmellate, confetture, gelatine, frutta sciroppata, sotto spirito o candita e liquori, da soli o come ingrediente di preparazioni più complesse, occupano un posto importante in pasticceria. Come tanti altri alimenti che troviamo in vendita, non pensiamo di poterli preparare in casa finchè la disponibilità di frutta non ci riporta all'antica esigenza di conservare le eccedenze e di cimentarci nell'impresa della conservazione.
In passato la conserva di frutta era anche una specialità farmaceutica. Nell'Encyclopèdie di Diderot e D'Alembert si rintracciano numerosi esempi su questo tema: la confettura di rosa selvatica "si può dare ai convalescenti come analettico o ricostituente", mentre lo sciroppo di mele cotogne "può essere impiegato come cordiale, stomachico e tonico". In seguito questi "medicamenti" si sarebbero trasformati in alimento voluttuario, passando dalla bottega del farmacista al negozio del confettiere.

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